L’alimentazione, oltre ad avere un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo, presenta una serie di implicazioni soggettive e sociali; vi è una connessione tra abitudini alimentati e psiche dell’individuo. “Quando sono sotto stress mangio” “quando sono triste il mio stomaco si chiude” ”quando sono giù di morale mangio il cioccolato per tirarmi su” “quando sono in ansia non mangio nulla”, sono esempi del rapporto cibo e stati d’animo; in altri casi il cibo può diventare un nemico: negato nell’anoressia e divorato nella bulimia, disordini alimentari espressione di un profondo disagio interiore.
Chi osserva da fuori non riesce a concepire che il cibo possa diventare un nemico cosi, all’improvviso, apparentemente senza motivo. Chi la vive, al contrario, non capisce come sia possibile riuscire a mangiare senza pensieri, senza ansia, senza angoscia: il cibo è costantemente nella testa riempendo la giornata (es. calorie, peso), il corpo deve essere controllato e vuoto, il pieno (es. abbuffata) non può essere tollerato, subentra il senso di colpa e l’autopunizione ripristinando il vuoto (es. vomito autoindotto).
Anoressia e bulimia, prevalenti nell’universo femminile, sono due facce della stessa medaglia: attraverso il corpo e il cibo comunicano un grande bisogno di amore. E’ importante comprendere e accogliere la profonda tristessa, la solitudine, i tormenti interiori, ovvero il profondo malessere che si nasconde dietro tale sintomatologia: è importante essere viste e accettate per quello che si è, rielaborando conflitti emotivi e relazionali sottesi a un dolore che non riesce a esprimersi a parole e a cui è necessario dar voce riconoscendolo, definendolo e condividendolo, sentendosi accolte, capite, ascoltate e non giudicate.
Il comportamento con il cibo richiama la sfera affettiva-relazionale ed è importante spostare il focus dal cibo alle relazioni per comprendere il sintomo inquadrandolo nella storia soggettiva di quella persona (traumi, separazioni, lutti, abusi, problematiche familiari, …): spesso il sintomo viene vissuto come soluzione non rendendosi conto che diventa una lotta per l’autodistruzione; l’obiettivo è invertire la rotta e lottare per il proprio benessere non sentendosi sole.
La famiglia può ritrovarsi a fare i conti con il dolore di avere davanti una persona cara che si “autodistrugge”, dove vedere può essere difficile perchè vedere significa affrontare: è necessario rielaborare la propria sofferenza acquisendo risorse per far fronte a tale situazione; sovente è importante lavorare sulle dinamiche familiari e sui processi di separazione-individuazione.
Attraverso un percorso individualizzato che consideri l’unicità della persona – non esiste un’anoressia e una bulimia ma varie anoressie e bulimie – e un approccio integrato non focalizzato semplicemente sul sintomo alimentare – il problema non è nel peso ma nella psiche, in quanto il sintomo è la manifestazione di una sofferenza a cui dar voce affiancando figure professionali che possano occuparsi del corpo – è possibile intervenire nel trattamento delle diverse forme dei disordini alimentari.
Dott.ssa Annalisa De Filippo, Psicologa Psicoterapeuta Sesto San Giovanni (Milano)