Nella vita di un essere umano il provare dolore per via di un lutto è un’esperienza inevitabile. Il lutto è un evento naturale e universale ed è importante metabolizzare il senso di perdita di una persona cara; infatti, se non si elabora almeno in parte tale perdita e si rimane prigionieri dell’angoscia, l’esperienza da dolorosa può diventare traumatica.
Bowlby (1969, 1973, 1980) mette in evidenza il ruolo dell’attaccamento – propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di una figura ben conosciuta in situazioni di pericolo, dolore, fatica o solutidine – nello sviluppo e nel comportamento umano e le conseguenze che la carenza o la perdita di tale attaccamento comportano. Secondo il suo modello, l’elaborazione del lutto si articolerebbe in quattro tappe che nell’esperienza soggettiva s’intersecano e si sovrappongono di continuo secondo percorsi non lineari:
– fase di stordimento: dolore o ira intensi a seguito della notizia della morte della persona cara;
– fase di struggimento e ricerca della persona perduta: difficile consapevolezza della morte avvenuta caratterizzata da rabbia; da una parte presa atto della realtà e reazione a questa consapevolezza con angoscia e disperazione, dall’altra rifiuto di tale consapevolezza e ricerca di recuperare chi si è perduto alimentando la speranza che tutto possa tornano come prima. Solo dopo aver fatto tutti i tentativi di recuperare la persona perduta è possibile accettare l’irreversibilità della perdita e procedere nel lavoro del lutto;
– fase di disorganizzazione e disperazione: riorganizzazione del proprio modo di sentire, pensare, agire dovuta all’assenza definita dell’altro; confusione e smarrimento che preludono a una ridefinizione di se stessi e della propria vita che prende atto dell’impossibilità di recuperare la persona che non c’è più;
– fase di riorganizzazione: cambiamento che genera nuove rappresentazioni della realtà percepita come irreversibile.
Una delle caratteristiche principali del lutto non elaborato sta proprio nell’incapacità o nella difficoltà di esprimere in maniera aperta la rabbia e i tentativi di recuperare chi si è perduto che porta alla presa di coscienza dell’irreversibilità della perdita conducendo all’esigenza pratica di riorganizzare la propria vita. Ma se tali emozioni vengono dissociate e represse continuando così a esistere ma non trovando un’aperta espressione, influenzeranno sensazioni e comportamenti in maniera anomala e distorta.
E’ bene tener presente che non tutte le esperienze sono uguali. Vi sono elementi protettivi/di resilienza (es. introspezione, sostegno sociale, fiducia nelle proprie capacità di fronteggiare l’evento) che, giocando un ruolo con i fattori di rischio/vulnerabilità (es. accumuli di lutti e perdite di vario tipo in un arco di tempo, mancanza di sostegni sociali sia psicologici che materiali), concorrono a determinare l’esito dell’elaborazione dell’evento.
Specificando che la tematica è complessa e non esauribile in queste brevi righe, si può concludere che il lutto è un evento negativo da affrontare, superare, elaborare con l’obiettivo di dare un senso alla propria vita: dar voce a emozioni e pensieri, condividere la sofferenza sentendosi compresi, integrare l’evento nella propria biografia, tornare sui ricordi legati alla persona cara fino a quando quella perdita non risulta più così intollerabile.
Dott.ssa Annalisa De Filippo, Psicologa Psicoterapeuta Sesto San Giovanni (Milano)